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CERASE libro d'arte autoprodotto

Un libro prodotto quasi per gioco. le impressioni visive in un giorno ventoso di giugno, quando, in giro con mia moglie Giusi, per paesi e borghi Campani, ci trovammo nel centro storico di Buccino (Sa). Le folate di vento agitavano vorticosamente la cima di un albero di ciliegie. Mi trovai all'altezza della cima della pianta. Il terrazzo dal quale mi sporgevo era esattamente all'altezza della sommità dell'albero. lo scirocco agitava con impeto le rosse drupe e ricordando le immagini dell'inarrivabile maestro Ernst Haas , volli giocare sull'effetto del mosso in fotografia. I testi che accompagnano la pubblicazione sono di mia moglie Giusi, di mia figlia Marta e di altre care ed affettuose amiche. Barbara Cangiano , Rossella Nicolò, Sabrina Prisco, Tonia Rotondo. Tutte hanno espresso nei loro scritti le sensazioni e le impressioni che le ciliegie "CERASE" suscitano nella mente e nel cuore di una donna.
CERASE  libro d'arte autoprodotto
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Se si spezza un albero di ciliegio, dentro non si troveranno fiori.
I fiori sono dentro la primavera.
(Ikkyu Sojun)

Foglie scompigliate come chiome, rossi gonfi di baci e sorrisi aperti sul tempo che verrà, tra lampi d'oro e luce, frecce scoccate al ballo di primavera. E' una camera verde di pause e ripartenze, quella che Pio Peruzzini consegna all'occhio di chi guarda, giocando con il frammento, il piccolo pezzo che come un reperto archeologico ha tante storie da raccontare. L'immagine si fa verso poetico, l'istantanea sussurra piano il ritorno alla vita e profuma di aria magica, quasi libera, quasi vera, quasi mistica. Veloce velocissimo, la retina insegue il movimento, si gode il bagno di colore, accarezza incredula i muscoli magri del legno, lasciandosi dilatare come cerchio d'acqua in uno stagno. La memoria torna protagonista, in quel rosario antico fatto di terra e radici, che ti porta a strofinare tra le dita una foglia, dopo essere stato rapito dalle sue scanalature. Ogni filo è un destino, la ruga profonda di chi ha tanto da raccontare in un tempo sospeso che rende più umani, insegnando che lo sguardo verso l'altrove non può esistere senza la consapevolezza solida del proprio passato. Sagomandosi i piedi, nell'ombra fresca degli scatti che si rincorrono veloci, sale la voglia di mordere la semplicità per ritrovarne il gusto. Pausa. Foto-grafia: scrivere con la luce. Il racconto più bello, Pio Peruzzini l'ha narrato dal ventre caldo di un territorio nuovo, perché svegliato a nuovo destino, con l'occhio aperto di chi non ama i confini e detesta le griglie. Ecco perché, più che essere viste, le sue immagini vanno ascoltate. Una dopo l'altra, fino alla fine della storia.

Barbara Cangiano 15 giugno 2020
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Se si spezza un albero di ciliegio, dentro non si troveranno fiori.
I fiori sono dentro la primavera.
(Ikkyu Sojun)

Foglie scompigliate come chiome, rossi gonfi di baci e sorrisi aperti sul tempo che verrà, tra lampi d'oro e luce, frecce scoccate al ballo di primavera. E' una camera verde di pause e ripartenze, quella che Pio Peruzzini consegna all'occhio di chi guarda, giocando con il frammento, il piccolo pezzo che come un reperto archeologico ha tante storie da raccontare. L'immagine si fa verso poetico, l'istantanea sussurra piano il ritorno alla vita e profuma di aria magica, quasi libera, quasi vera, quasi mistica. Veloce velocissimo, la retina insegue il movimento, si gode il bagno di colore, accarezza incredula i muscoli magri del legno, lasciandosi dilatare come cerchio d'acqua in uno stagno. La memoria torna protagonista, in quel rosario antico fatto di terra e radici, che ti porta a strofinare tra le dita una foglia, dopo essere stato rapito dalle sue scanalature. Ogni filo è un destino, la ruga profonda di chi ha tanto da raccontare in un tempo sospeso che rende più umani, insegnando che lo sguardo verso l'altrove non può esistere senza la consapevolezza solida del proprio passato. Sagomandosi i piedi, nell'ombra fresca degli scatti che si rincorrono veloci, sale la voglia di mordere la semplicità per ritrovarne il gusto. Pausa. Foto-grafia: scrivere con la luce. Il racconto più bello, Pio Peruzzini l'ha narrato dal ventre caldo di un territorio nuovo, perché svegliato a nuovo destino, con l'occhio aperto di chi non ama i confini e detesta le griglie. Ecco perché, più che essere viste, le sue immagini vanno ascoltate. Una dopo l'altra, fino alla fine della storia.

Barbara Cangiano 15 giugno 2020

Il vento fa il suo giro                                          				  

Scaletta di uscita sul  vicolo stretto
immerso  in pieno sole meridiano.
 Il vento fa il suo giro
 corteggiando case ed orti,
impastando parole e silenzi.
 Davanti al bar Centrale 
 un minuto può durare un’ora ,
dieci anni, tutta una vita .
 Ritorna l’estate tra le  crepe dei muri,
nella  penombra infittita del tiglio selvatico  
e porta con sé il profumo di ciliegio ,
di rose gialle, di panni stesi. 
 Sui gradini  della casa di pietra 
 segnati  da pallide impronte di sole ,
 si rinnova  il  gesto antico
 che sistema la piega della sottana di lino nero.
 Un cane annusa l’aria e fiuta il vento,
 volano  brandelli di carta vecchia  di parati .
Toccherà mai la superficie 
 quell’attimo  di oscura e  impenetrabile potenza 
 che l’attrazione di un attimo esattamente uguale  
 è venuto a richiamare alla  memoria?
Era il  mondo in cui gli occhi non erano offuscati,
quello in cui un albero di ciliegie
 era solo  un albero di ciliegie,
e con i noccioli si facevano i rosari.
La libertà era a portata di mano,
e noi non eravamo più felici,
solo più illusi nel credere
che la parola  strage fosse un’iperbole.
Rossella Nicolò
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Il vento fa il suo giro

Scaletta di uscita sul vicolo stretto
immerso in pieno sole meridiano.
Il vento fa il suo giro
corteggiando case ed orti,
impastando parole e silenzi.
Davanti al bar Centrale
un minuto può durare un’ora ,
dieci anni, tutta una vita .
Ritorna l’estate tra le crepe dei muri,
nella penombra infittita del tiglio selvatico
e porta con sé il profumo di ciliegio ,
di rose gialle, di panni stesi.
Sui gradini della casa di pietra
segnati da pallide impronte di sole ,
si rinnova il gesto antico
che sistema la piega della sottana di lino nero.
Un cane annusa l’aria e fiuta il vento,
volano brandelli di carta vecchia di parati .
Toccherà mai la superficie
quell’attimo di oscura e impenetrabile potenza
che l’attrazione di un attimo esattamente uguale
è venuto a richiamare alla memoria?
Era il mondo in cui gli occhi non erano offuscati,
quello in cui un albero di ciliegie
era solo un albero di ciliegie,
e con i noccioli si facevano i rosari.
La libertà era a portata di mano,
e noi non eravamo più felici,
solo più illusi nel credere
che la parola strage fosse un’iperbole.
Rossella Nicolò
  Re- cordis dal latino, ripassare dalle parti del cuore.
(Eduardo Galeano)

La tentazione.
Questa la prima cosa che mi viene in mente se vedo o penso alle ciliegie.
Non la mela, come la letteratura e la visione cristiana ci insegnano, ma le ciliegie.
Sarà perché sono di un colore accattivante, o perché viaggiano sempre in coppia, o magari perché la loro stagionalità è fugace.
O forse perché come tutte le tentazioni che si rispettino, cedervi, concedendosi il piacere di gustarle, per forza di cose lascia sempre un po' insoddisfatti. Non fai in tempo a provarle che sono già finite.
E in questa ricerca costante di un piacere caduco si perpetua il desiderio.
La seconda è il segreto.
Se ci rifletto, mi accorgo che i miei ricordi sono associati al “gusto”. È tramite questo che, se chiudo gli occhi, sono in grado di rivivere situazioni ed emozioni. 
Le ciliegie evocano l’estate, la spensieratezza, i pomeriggi in campagna dalla nonna, quando coi miei cugini giocavamo ad esplorare tutti i possibili scenari che la terra avrebbe offerto ai nostri giochi segreti.
E ancora oggi provarle mi dà la sensazione di essere in un altrove gioioso, nel quale mi sento leggera e peccaminosa, nel quale posso sorridere con me stessa della mia segreta natura errante e fallace.
Marta Peruzzini
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Re- cordis dal latino, ripassare dalle parti del cuore.
(Eduardo Galeano)

La tentazione.
Questa la prima cosa che mi viene in mente se vedo o penso alle ciliegie.
Non la mela, come la letteratura e la visione cristiana ci insegnano, ma le ciliegie.
Sarà perché sono di un colore accattivante, o perché viaggiano sempre in coppia, o magari perché la loro stagionalità è fugace.
O forse perché come tutte le tentazioni che si rispettino, cedervi, concedendosi il piacere di gustarle, per forza di cose lascia sempre un po' insoddisfatti. Non fai in tempo a provarle che sono già finite.
E in questa ricerca costante di un piacere caduco si perpetua il desiderio.
La seconda è il segreto.
Se ci rifletto, mi accorgo che i miei ricordi sono associati al “gusto”. È tramite questo che, se chiudo gli occhi, sono in grado di rivivere situazioni ed emozioni.
Le ciliegie evocano l’estate, la spensieratezza, i pomeriggi in campagna dalla nonna, quando coi miei cugini giocavamo ad esplorare tutti i possibili scenari che la terra avrebbe offerto ai nostri giochi segreti.
E ancora oggi provarle mi dà la sensazione di essere in un altrove gioioso, nel quale mi sento leggera e peccaminosa, nel quale posso sorridere con me stessa della mia segreta natura errante e fallace.
Marta Peruzzini
Resta


Resta una scia
nell’aria
quando il vento ti muove. 
Restano i tuoi occhi felici, frutti succosi. 
Le spighe di grano 
intorno alle gambe. 
Gambe di grano, 
per crescere il pane, 
per pestare il vino. 
Resta il bianco 
della camicetta di lino 
curato, 
di filo puntato 
sul ricamo 
fatto in inverno, 
vicino al camino 
pensando all’estate. 
Restano le onde 
del tuo biondo, 
oro in festa 
che ora sta sulle mie tempie, 
le tue dita dritte 
che puntavano al sole
che ora segnano
suoni che non sento.
Resta la musica 
che ti schiude gli occhi
quella che danzavi 
alzando il mento,
il piede lesto, 
le anche dolci.
Restano tra noi
dei suoni minuscoli,
non piùle giravolte 
di ciottoli di fiume,
ma petali di agrume
lungoun filo di ragno. 
Resta la vita 
che ti ha spinto avanti,
spostato di lato, 
che mi ha portato. 
Non c’è un vento
che non indossi 
il tuo odore, 
lo annuso 
quando stacca 
la foglia dal ramo.
Resta il tuo amore
al centro della mano.

Sabrina Prisco
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Resta


Resta una scia
nell’aria
quando il vento ti muove.
Restano i tuoi occhi felici, frutti succosi.
Le spighe di grano
intorno alle gambe.
Gambe di grano,
per crescere il pane,
per pestare il vino.
Resta il bianco
della camicetta di lino
curato,
di filo puntato
sul ricamo
fatto in inverno,
vicino al camino
pensando all’estate.
Restano le onde
del tuo biondo,
oro in festa
che ora sta sulle mie tempie,
le tue dita dritte
che puntavano al sole
che ora segnano
suoni che non sento.
Resta la musica
che ti schiude gli occhi
quella che danzavi
alzando il mento,
il piede lesto,
le anche dolci.
Restano tra noi
dei suoni minuscoli,
non piùle giravolte
di ciottoli di fiume,
ma petali di agrume
lungoun filo di ragno.
Resta la vita
che ti ha spinto avanti,
spostato di lato,
che mi ha portato.
Non c’è un vento
che non indossi
il tuo odore,
lo annuso
quando stacca
la foglia dal ramo.
Resta il tuo amore
al centro della mano.

Sabrina Prisco
Camminare tra i vicoli di piccoli borghi,  assecondando i tuoi tempi mentre ti dedichi “allo scatto” che  ti ha rapito. Questo nuovo tempo insieme non è scandito dalle lancette di un normale orologio, ma dall’obiettivo di una  macchina fotografica e dalla sensibilità del tuo occhio,  che si ferma là dove trova suggestione e attrazione. e  così anche io ho spazio e modo di ammirare con occhi diversi in un tempo dilatato e rilassato. 
Poi riprendiamo a camminare lasciandoci guidare dai nostri passi, senza una meta, condotti dall’istinto in un altrove che diventa scoperta. Vedere e  sentire con tutti i sensi. Camminare fianco a fianco anche in silenzio per le stradine di paesi antichi  che nascondono le storie di antiche generazioni e ricordano un passato che qui è ancora presente. D’improvviso quello squarcio sulla valle. Un panorama mozzafiato e, per goderne meglio la visione… mi siedo. Ora sono io rapita da una chioma di “ceraso” che sbuca dal sottostante terreno. Il vento fa muovere i suoi rami vertiginosamente. Una danza turbinante che mi porta alla mente i “dervisci rotanti”. Durante questo ballo anche loro, come questi rami davanti ai miei occhi, ruotano su se stessi come trottole vorticosamente fino a raggiungere un’estasi mistica.
Il tuo fotografare non è un gesto meccanico ma un essere pronto, percettivo e attento, assaporando  tutto ciò che ti è intorno e, ora che possiamo rallentare i nostri ritmi a questa nuova dimensione del vivere insieme, ci riprendiamo il giusto tempo e come sempre la tua macchina sarà l’unica testimone.

Giusi Rinaldi
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Camminare tra i vicoli di piccoli borghi, assecondando i tuoi tempi mentre ti dedichi “allo scatto” che ti ha rapito. Questo nuovo tempo insieme non è scandito dalle lancette di un normale orologio, ma dall’obiettivo di una macchina fotografica e dalla sensibilità del tuo occhio, che si ferma là dove trova suggestione e attrazione. e così anche io ho spazio e modo di ammirare con occhi diversi in un tempo dilatato e rilassato.
Poi riprendiamo a camminare lasciandoci guidare dai nostri passi, senza una meta, condotti dall’istinto in un altrove che diventa scoperta. Vedere e sentire con tutti i sensi. Camminare fianco a fianco anche in silenzio per le stradine di paesi antichi che nascondono le storie di antiche generazioni e ricordano un passato che qui è ancora presente. D’improvviso quello squarcio sulla valle. Un panorama mozzafiato e, per goderne meglio la visione… mi siedo. Ora sono io rapita da una chioma di “ceraso” che sbuca dal sottostante terreno. Il vento fa muovere i suoi rami vertiginosamente. Una danza turbinante che mi porta alla mente i “dervisci rotanti”. Durante questo ballo anche loro, come questi rami davanti ai miei occhi, ruotano su se stessi come trottole vorticosamente fino a raggiungere un’estasi mistica.
Il tuo fotografare non è un gesto meccanico ma un essere pronto, percettivo e attento, assaporando tutto ciò che ti è intorno e, ora che possiamo rallentare i nostri ritmi a questa nuova dimensione del vivere insieme, ci riprendiamo il giusto tempo e come sempre la tua macchina sarà l’unica testimone.

Giusi Rinaldi
La ciliegia è donna, 
perché è tonda, perché è allegra, 
perché è piccola e segreta, 
perché ha una polpa succosa e generosa sotto una buccia lucida e callosa. 

È rossa come la passione che c’infiamma, come il rossetto che calchiamo sulle labbra, 
come il décolleté con tacco alto che sfoggiamo per sentirci un po' giulive, come l’ira che fronteggiamo con ardore per sentirci sempre vive.

La donna è una ciliegia che tra i rami al vento della primavera fa vortici di gioia e sotto il sole della imminente estate si scalda per ogni promessa d’amore. 

Le ciliegie sono frivole, vivaci, goduriose e lussuriose, 
donano colore alle tavole festanti, sapore nelle oziose pause dei pomeriggi andanti, esultano al ciliegio dopo il lungo inverno, in un giubilo improvviso e breve come il loro passaggio.
Perché breve è il loro passaggio sui rami dell’albero, tra sussurri e sguardi, tra carezze e danze, quasi nascoste sotto le foglie, a spiare rondini e a cercare raggi.

Con le ciliegie prepariamo marmellate per le nostre colazioni bio, le mettiamo come orecchini per sentirci ancora bambine, le mangiamo una dopo l’altra, come caramelle, fregandocene delle calorie che non decidono come dobbiamo essere belle.
E sono buone come le nostre torte che addentiamo piano con le nostre bocche, con la golosità di chi assapora peccati perdonabili e segreti senza alcuna colpa.

Le ciliegie sono come le donne, nei loro tripudi di capricci e leggerezza, fragilità e dolcezza, di temerarietà, un pizzico di acidità e autentica bellezza. 
Ma tra l’aspro del limone e il dolce della ciliegia, la donna rimane sempre cerasa, una “cerasella”. 


Tonia Rotondo  17 giugno 2020
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La ciliegia è donna,
perché è tonda, perché è allegra,
perché è piccola e segreta,
perché ha una polpa succosa e generosa sotto una buccia lucida e callosa.

È rossa come la passione che c’infiamma, come il rossetto che calchiamo sulle labbra,
come il décolleté con tacco alto che sfoggiamo per sentirci un po' giulive, come l’ira che fronteggiamo con ardore per sentirci sempre vive.

La donna è una ciliegia che tra i rami al vento della primavera fa vortici di gioia e sotto il sole della imminente estate si scalda per ogni promessa d’amore.

Le ciliegie sono frivole, vivaci, goduriose e lussuriose,
donano colore alle tavole festanti, sapore nelle oziose pause dei pomeriggi andanti, esultano al ciliegio dopo il lungo inverno, in un giubilo improvviso e breve come il loro passaggio.
Perché breve è il loro passaggio sui rami dell’albero, tra sussurri e sguardi, tra carezze e danze, quasi nascoste sotto le foglie, a spiare rondini e a cercare raggi.

Con le ciliegie prepariamo marmellate per le nostre colazioni bio, le mettiamo come orecchini per sentirci ancora bambine, le mangiamo una dopo l’altra, come caramelle, fregandocene delle calorie che non decidono come dobbiamo essere belle.
E sono buone come le nostre torte che addentiamo piano con le nostre bocche, con la golosità di chi assapora peccati perdonabili e segreti senza alcuna colpa.

Le ciliegie sono come le donne, nei loro tripudi di capricci e leggerezza, fragilità e dolcezza, di temerarietà, un pizzico di acidità e autentica bellezza.
Ma tra l’aspro del limone e il dolce della ciliegia, la donna rimane sempre cerasa, una “cerasella”.


Tonia Rotondo 17 giugno 2020

CERASE  libro d'arte autoprodotto
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