[font4]Il bosco verso Accettura era silenzioso. Ci fermammo, Gaetano ed io a respirarne il fiato. Era una caldissima giornata di fine maggio.
Ci trovammo, senza accorgercene, nel fitto di questa foresta cupa , profonda, nera.
Pulsava di vita il bosco, non arrivavano segnali evidenti , ne respiri, ma io avvertivo nell’aria calda, filtrata dalle foglie, il fiato di presenze antiche.
I tronchi esprimevano una forza vitale primordiale. Potenza sfacciata e dirompente. Rocce frantumate da radici scomposte, eleganti, sinuose, sensuali .
Era come essere in una cattedrale senza archi e colonne. I basamenti degli altari fatti di pietra grigia e fessurata. I licheni antichi ed i muschi morbidi come affreschi delle campate e delle navate che si perdevano nell’azzurro del cielo. Un luogo misterioso dove le forze della natura mostravano nel silenzio ancestrale la loro bellezza.
Tronchi svettanti verso l’infinito abbracciati da polloni soffocanti.
Ho sentito l’ansimare ed il respiro affannoso dei fusti arborei soffocati da strette violente e vitali.
Un sabba misterioso.
Ho atteso le streghe, invano!
Pio Peruzzini
2016
Un abbraccio
“ Ti penserò ogni giorno” promisi, piantando il mio sguardo in quel piccolo spazio tra una punta e l’altra delle mie scarpe.
“Va bene, va bene così” tagliò corto, venendomi in aiuto come sempre. “Stai con me stanotte?”, aggiunse decisa, tormentandosi le mani gelide, come a voler stringere i tempi per chiudere una faccenda sgradevole, eludere una discussione che non ci avrebbe portato da nessuna parte.
Per un attimo i nostri aliti si fusero. La baciai sulla guancia, teneramente: bruciava di febbre. Mi offrì le sue labbra e mi cercò avidamente come se quel bacio fosse per lei fonte di nutrimento, il tentativo estremo di trattenermi, deglutirmi per inglobarmi in sé.
Le sue mani sotto il mio pullover, tremanti, lunghe e fredde percorsero elettriche la mia schiena. Un profumo d’erba e di sottobosco risaliva dal suo seno. La strinsi forte e la spinsi con decisione contro la parete di fianco al caminetto e cercai con le mani l’interno delle sue cosce, lì dove la pelle si fa carne viva. Chiuse gli occhi, si pacificò e le sue mani ritrovarono finalmente calore.
Antonio Baglivo
Pensi che sia una questione di spazio, spazio che si accorcia, si mischia, si azzera. E invece è un fatto di tempo.
Ci vuole tempo per misurare qualcuno a braccia.
Ci vuole tutto il tempo prima. Il tempo del sogno, della ricerca, della nostalgia, del fiuto, della caccia inconsapevole, viscerale, fatta di appostamenti ai margini del bosco a cercare tracce, ad annusare sentieri, fatta di attese vane, spente in tramonti disillusi e di nuovo riaccese, aggrappate a scintille impalpabili.
Ci vuole il tempo necessario affinché si crei il vuoto e poi l’urgenza di riempirlo.
Poi c’è il tempo durante, che è lungo o corto, è quieto o ruvido, è tiepido o immobile.
Ha una liturgia precisa, fatta di tempo e temperatura, come il pane, come il vino, come un sughero che ricresce, come una danza antica, come una cerimonia primitiva, come un’orbita millenaria.
È come un legno che cambia forma, che cresce dove prima non c’era, un legno con un segno disegnato dagli anni, una corteccia stretta, un nodo, una vena di linfa, che percorre vie senza sapere perché.
E’ un sussurro segreto, un grido silenzioso, una preghiera, un abbandono disarmato, è un respiro infinito come quello della morte.
E’ un impegno, una promessa. Cambia tutto, cambia il verso delle stelle, cambia il corso del fiume, cambia l’est con il nord, cambia il dentro col fuori, cambia la pelle, la fonde, di due si fanno una.
Che sia di fratello o di amante, un abbraccio è un’impronta digitale, unica come un codice genetico. Ti spoglia del falso, ti nutre la carne e ti restituisce nuovo, come un germoglio.
Sabrina Prisco[/font4]